Lo spazio lavorativo,
un asset nelle strategie di HR.
Intervista a Ivan Petrovich.

 

 

Visionario e creativo. Antesignano nella ricerca del funzionale ma estetico.
Sempre avanti, quel tanto che basta per essere compreso e innovativo al
tempo stesso. Una guida strategica, un aggregatore di talenti locali e
internazionali. Ivan Petrovich da tempo è la Martex. Più che mai nel 2020.
Propulsore di continui cambiamenti è un’antenna attendibile sui fatti e le
tendenze del mondo.
Ed è proprio su queste che abbiamo voluto raccogliere la sua testimonianza.
Il Presidente di Martex non si è fatto pregare.

 

 

Il luogo di lavoro è diventato una merce di  scambio per le aziende.
Grandi e piccole corporation si sfidano a suon di pagine web, e sui social,
sfoggiando politiche di sostenibilità e attenzione nei confronti del
lavoratore. Decantano la disponibilità di ambienti di lavoro moderni,
progettati secondo nuovi paradigmi che promettono un incremento di
produttività migliorando il benessere del collaboratore.
L’obiettivo è quello di apparire più appetibili di altri agli occhi di chi cerca
lavoro. E attrarre così i talenti migliori in circolazione.
Qual è il tuo pensiero al riguardo?

«È vero. La tendenza è questa e, purtroppo, siamo proprio noi italiani quelli
che fanno più fatica a recepirla. All’estero, dispiace dirlo, sono più avanti nella
comprensione dell’equazione “ambiente di lavoro migliore = risultati migliori
da parte dei collaboratori”.

E chi offre il meglio sul mercato del lavoro, ottiene il meglio dal mercato del
lavoro.

Lo spazio ufficio è assurto a un nuovo livello di multifunzionalità. Non solo
nel senso tradizionale del significato (aree adibite a funzioni diverse), ma
si è elevato a “asset” vero e proprio, patrimonio che l’azienda può – e deve –
sfruttare anche per altri scopi. Non è più spazio e basta. È spazio che
acquisisce valore nei confronti degli stakeholder. L’attrazione di talenti,
per rimanere in tema, è uno degli esempi.

So di dire una banalità quando asserisco che viviamo in un’epoca di
altissima competizione e che le persone sono spesso stressate. Passiamo
moltissimo tempo sul luogo di lavoro e combinare le aspettative
professionali con gli obblighi famigliari è una bella battaglia quotidiana.

Chi propone posti di lavoro allocati in “facilities” che consentono un
livello di benessere personale tangibile, ha una marcia in più.
Mi riferisco a benessere sia fisico che mentale.

La lungimiranza dei leader aziendali in questo senso è fondamentale.
Chi considera la “human experience” come una componente essenziale
dell’offerta ai collaboratori, ha un vantaggio significativo rispetto ai
competitor nella selezione delle risorse.

Ma desidero essere chiaro su un punto, perché mi riguarda direttamente.

 

‛Progettare o creare un ambiente di lavoro

 non vuol dire solo pensare agli spazi,

 agli arredi, all’illuminazione.’

 

Francamente non ho tutta questa frenesia per gli elementi d’ arredo fini
a se stessi. Per chi fa il mio mestiere “pensare agli spazi di lavoro” vuol
dire, prima di tutto, pensare alle persone. Loro passano la maggior
parte del tempo all’interno di uno spazio. L’evoluzione delle dinamiche
sociali, psicologiche e relazionali sono le prime cose che dobbiamo
comprendere per ottenere un vero risultato.

Il mio percorso personale e la mia passione per la storia, l’arte e la cultura
in generale mi hanno portato ad apprezzare i principi dei filosofi greci:
domandarsi il perché delle cose o il perché si fanno certe cose è la
base di tutto.»

 

 

“Live the experience”, è diventato un mantra, applicabile anche
all’ambiente dell’ufficio a quanto pare. Una recente ricerca però ha
fatto emergere dei dati secondo i quali i giovani sono pronti a rinunciare
a una quota di stipendio se inclusi in programmi di smart working e
beneficiari di benefit quali l’orario flessibile e possibilità di lavorare
viaggiando.
Quasi il luogo di lavoro non rivesta alcuna importanza. Considerando
che sono proprio i giovani le nuove leve, non è una contraddizione
con quanto dicevamo prima?

«Lo è. E non lo è. Mi spiego. L’evoluzione tecnologica ha inciso enormemente
su tempi e modo di lavorare. Una volta se dicevo “vado a lavorare” era implicito
che mi recassi in ufficio.

 

‛Oggi basta un laptop, un tablet o addirittura

uno smartphone e sono “in onda”. Il dove questo

avvenga è diventato irrilevante.’

 

Per alcuni, a quanto pare, addirittura riduttivo o limitativo.
Si è andati al nocciolo della questione, è importante cosa si fa e come
lo si fa.

Il fatto che ci siano persone, giovani, disposte a sacrificare una porzione
di salario, pur di prendere parte a un’organizzazione che permetta loro
di svolgere l’attività professionale in modo non convenzionale, è
emblematico di un importante cambiamento del mondo del lavoro.
Culturale ancora prima che organizzativo.

Come ignorare questa tendenza? Non possono le aziende che vogliono
un futuro sul mercato. Non possiamo noi che abbiamo l’onere, e
onore, di dare forma a questi impulsi e ispirazioni. Anzi. Personalmente
appoggio questo modus pensandi e operandi. La tecnologia lo permette,
perché rinunciarvi? Non vuol dire che non esisteranno più uffici.
L’ufficio, nella sua evoluzione, continuerà a contribuire al processo
di catalisi relazionale delle persone, confermandosi elemento
fondamentale per il benessere di ciascun essere umano.»

 

 

La vita extra lavoro si fonde sempre di più con quella lavorativa,
complice il fatto che sono nate nuove professioni che non hanno
bisogno di spazi fisici convenzionali.
Quindi il “posto di lavoro migliore” è più una questione di esigenze
di vita personale invece che una posizione fisica concreta.
Il nostro modello di ufficio olistico va in questa direzione.
Ci piacerebbe conoscere la tua opinione al riguardo.

«Come dicevo prima, partiamo dal presupposto incontrovertibile che
le persone sono al centro dell’universo. Ognuna di loro, a sua volta, è
al centro di un micromondo fatto di spazio e tempo. Buona parte di
questo tempo e spazio sono rappresentati dall’ambiente di lavoro.

La domanda ora è: se passiamo così tanto tempo a occupare quello
spazio, di che qualità dovranno essere sia l’uno che l’altro?

La risposta arriva con l’impronta che abbiamo dato all’evoluzione
dell’ufficio. Non più considerato come “posto di lavoro” ma come
luogo di benessere sensoriale e di relazione. Non più contesto nel
quale assolvere a una mera funzione ma una zona di incontro e
scambio, uno spazio di aggregazione nel quale fioriscono le relazioni
tra le persone.

Così la disposizione dell’ufficio cambia. Accantonate le postazioni
individuali abbiamo spazi ariosi e flessibili che incoraggiano la
comunicazione, lo scambio di idee. Dove lavorare fa sentire bene, fa
stare meglio.

In concreto, penso ad alcune iniziative degne di nota per valorizzare
gli ambienti.

 

‛Ad esempio: dare la possibilità di camminare scalzi,

prevedere luoghi appartati dove riposare o parlare

con i figli, mogli o genitori.’

 

E ancora aree di svago associabili alla classica pausa caffè e molto altro ma…
non voglio svelare di più. Tornando a bomba. Come imprenditore sento il
dovere sociale di rispondere a questi cambiamenti che vedono sempre più
interconnessi e interdipendenti, la vita lavorativa e quella non lavorativa
(famiglia, amici, hobby, interessi, etc..). La creazione di situazioni che stimolino
i vari collaboratori porta sicuramente valore aggiunto al lavoro di ognuno e di
conseguenza, all’azienda per cui collaborano.»